Erano marchiati con bracciali gialli e una grande lettera A, che significava Arschficker, ovvero sodomiti, e accompagnava un triangolo rosa, chiamato Rosa-Winkel, o la scritta 175. Erano i detenuti omosessuali, bisessuali o transessuali internati nei campi di concentramento nazisti. Le vittime designate dalla malvagità nazifascista, atta a cancellare la diversità dal mondo. Con la comunità LGBTQ furono sterminati ebrei, testimoni di Geova, zingari, slavi, cattolici, protestanti, dissidenti politici, artisti e liberi pensatori.

Monumento alla memoria delle vittime omosessuali del Nazismo, Colonia (autore: Jörg Lenk, fonte: Wikipedia, Public Domain)
Monumento alla memoria delle vittime omosessuali del Nazismo, Colonia (autore: Jörg Lenk, fonte: Wikipedia, Public Domain)

Fu Heinrich Himmler, esponente della borghesia monacense, che nel 1936 creò il il Reichszentrale zur Bekämpfung der Homosexualität und Abtreibung (Dipartimento della sicurezza federale per combattere l’aborto e l’omosessualità) con lo specifico obiettivo di debellare aborto e omosessualità (perché il corpo femminile non appartiene alla donna ma alla collettività, essendo una incubatrice di figli e non un essere umano con specifico diritti). Lo scopo di Himmler è: “un nuovo tipo di salvezza attraverso il sangue che stiamo coltivando per la Germania” (dal Discorso di Heinrich Himmler sull’omosessualità).

Un telex della Gestapo sull’ordine per la carcerazione preventiva di un “incorreggibile omosessuale”.
La Gestapo ordina la carcerazione preventiva di un “incorreggibile omosessuale”.

Una rete di spie e delatori si occupa di ordinare, indagare e segnalare le abitudini pubbliche e private dei cittadini, schedando e catalogando individui di ogni ordine censo (in Italia anche Umberto di Savoia è una vittima di tale rete, esistente anche nel Belpaese). Tali nomi vengono trasmessi a speciali luoghi di rieducazione e studio, come la Scuola di insegnamento e di ricerca per l’ereditarietà umana e la politica razziale di Jena o l’Accademia di medicina militare di Berlino. L’archivio, come riferisce il Museo virtuale delle intolleranze e degli stermini, contava nel 1940 già 41.000 nominativi.

Gli arresti sono effettuati in silenzio, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, sono silenziose deportazioni in recinti (Lagern) a Buchenwald e Sachsenhausen. Uno di loro ha raccontato: “ Vennero la sera e mi picchiarono a sangue, non riuscivo neppure a piangere. […] La popolazione era dalla parte dei nazisti, e infatti ogni mattina, quando la polizia ci portava in furgone a Lubecca, al lanificio, la gente si fermava ad urlare indicandoci […]. Era davvero terribile”. (Testimonianza di Frederick von Grossheim).

Nel frattempo il Codice Penale si adegua e inasprisce: dal 1871 al 1994 prevedeva al Paragrafo 175, conosciuto come §175 StGB, pene più aspre per gli omosessuali rispetto a quelle previste per i pedofili (citati nel Paragrafo 176).

United States Holocaust Memorial Museum Collection, dono di Wilhelm A. Kroepfl

Heinz Heger, prigioniero omosessuale, racconta nel suo libro Gli uomini col triangolo rosa (Edizioni Sonda): “Il nostro blocco era occupato esclusivamente da omosessuali, e ogni ala aveva circa duecentocinquanta detenuti. Potevamo dormire solo in camicia da notte e con le mani fuori dalle coperte, perché “Voi brutti froci siete sempre arrapati“. Bisogna tener presente che le finestre erano ricoperte da uno spesso strato di ghiaccio. Per punizione, chi veniva sorpreso a letto in mutande o con le mani sotto le coperte – quasi ogni notte venivano fatti dei controlli – veniva portato all’aperto, dove gli rovesciavano addosso alcuni secchi d’acqua, per poi lasciarlo là in piedi per un’ora buona. Ben pochi sopravvivevano […]. Agli omosessuali che non stavano abbastanza eretti o che non rispondevano velocemente si dava un colpo di bastone in pieno viso, così forte da farli cadere in terra sanguinanti e con due o tre denti spezzati. Per quanto riguardava noi detenuti omosessuali, Himmler aveva disposto che fossimo obbligati a frequentarlo [il bordello] regolarmente per guarire dal nostro orientamento omosessuale. […] Il Lagerführer mi ordinò per tre volte di recarmi al bordello, e la cosa mi risultò non solo imbarazzante ma anche straziante”.

Nel lager di Buchenwald, nella Turingia (Germania orientale), i prigionieri del “blocco politico”, che detiene fra gli altri anche Mafalda di Savoia, sono omosessuali torturati con esperimento chimici e psicologici di ogni topo. Sostano a Buchenwald, dal 1938 al 1945c un migliaio di omosessuali, e proseguono poi per Bergen-Belsen o Mauthausen dove è più intensa la fabbrica di armi e materiale bellico.

Nel lager di di Sachsenhausen (Orianenburg, nord Berlino) i prigionieri con il triangolo rosa sono impiegati nella fabbrica di mattoni detta Klinlerwerk. In tale luogo di tortura, vengono effettuate cure sperimentali farmacologiche, esperimenti chirurgici, tortura e castrazione, uno dei quali consisteva nel far indossare alle cavie scarpe con suole sintetiche e nel farle correre fino allo svenimento per testare la resistenza delle calzature a contatto con il piede e il suolo. I prigionieri si aiutano vicendevolmente, chi ottiene incarichi in infermiera si attiva per prestare cure alle persone ferite e menomate di lavori forzati e dai sadici esperimenti. Fra loro molti artisti, musicisti, scrittori e intellettuali. Loro pensano alle cure dell’anima e intrattengono i compagni sperando che il mondo di svegli.