Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Europa si trovava in macerie, distrutta dal peggior conflitto bellico che il mondo avesse mai visto, eppure gran parte di essa si sarebbe di lì a poco ripresa. In Italia, Francia e Germania gli edifici – fisici e sociali – vennero ricostruiti in un tempo relativamente breve grazie soprattutto all’intervento statunitense. Il living style a stelle e strisce entrò prepotentemente nell’Europa occidentale portando ideali nuovi, più liberi. Molti tabù caddero uno dopo l’altro, i cinema e la TV offrivano un nuovo modo di vedere la vita, la musica inneggiava al cambiamento, a quelle libertà che oggi ci sembrano scontate. I giovani condividevano sempre meno ideali con i loro genitori, per la prima volta si definivano come classe sociale a sé stante, dinamica e rivoluzionaria. Questo accadeva nell’Europa “fortunata”, quella sorta di protettorato USA, mentre al di là della cosiddetta cortina di ferro il mondo sembrava essersi fermato.

Carcere di Spaç, a nord di Tirana (fonte: RSI Radiotelevisione svizzera)

Enver Hoxha e la sua Albania

A ovest si iniziava a diffondere un pensiero sempre più democratico, basato sulla libertà di ogni individuo. Ad est fiorivano, invece, crudeli dittature, che ancora oggi segnano il tessuto socio-culturale dei paesi coinvolti. Nel panorama delle numerose dittature di stampo comunista presenti nel mondo si può individuare un caso per molti versi unico, quello dell’Albania di Enver Hoxha. La Repubblica Popolare Socialista d’Albania nei suoi quasi 50 anni di vita è sempre stato un paese difficile da conoscere, chiuso in sé stesso, vicino geograficamente ma lontano anni luce ideologicamente, dove la cultura di ogni paese straniero veniva etichettata come “degenerata”. Musica, cinema, letteratura, moda, persino il taglio di capelli, tutto doveva passare sotto la lente d’ingrandimento del governo. Proliferavano quindi eventi organizzati ad hoc dove si glorificava la nuova società modellata secondo il volere di Hoxha: molti dei tradizionali canti polifonici erano in onore di questo eroe della Patria, unico baluardo rimasto dopo la morte di Stalin e Mao contro il pericolo capitalista, un instancabile Macbeth dei tempi moderni con le mani sporche di sangue. Raccontano gli anziani che persino nelle cene di famiglia il primo brindisi si dovesse fare in suo onore gridando a gran voce slogan di partito. Lo stato entrava di diritto nella sfera privata di ogni famiglia albanese. Non erano rari i casi in cui dei conoscenti, dei vicini di casa, si denunciassero a vicenda, creando così un clima di paura e di forte sfiducia nel prossimo.

Francobollo Albanese che raffigura, Enver Halil Hoxha, dittatore dell’Albania dalla fine della seconda guerra mondiale, 1968

La fede illegale

Ma forse l’ambito in cui la follia di Hoxha ha mostrato il suo volto più crudele è stato quello religioso. “La religione è l’oppio del popolo” recita un noto slogan comunista ma mai come in questo caso queste parole sono state seguite alla lettera, portando all’uccisione di centinaia di persone. Nemmeno la Russia di Stalin è mai riuscita a mettere in azione una censura religiosa di tale portata. L’Albania è, ad oggi, l’unico paese in cui si sia mai reso concreto l’ateismo di stato. Le carceri di Spaç, Burrel, Qaf Bar e altre erano infatti stipate di preti, cardinali, suore, ma anche imam e dervishi, spesso torturati e uccisi dopo mesi di sofferenza passati in picocle celle, al freddo e senza cibo. Come prevedibile, in un paese a metà tra Occidente e Oriente, le religioni praticate erano e sono tuttora molteplici: musulmani, cristiani, ortodossi, bektashi e altre piccole minoranze di varia fede.

L’intento del regime era quello di cancellare con la forza ogni singola traccia di identità religiosa, l’unica fede ammessa era quella rivolta al governo e ai suoi vertici. Lo stato doveva dimostrarsi unitario, protetto da influenze di tipo religioso. Gli uomini di fede erano visti come pericolosi nemici di stato e ogni loro bene, dai rosari ai libri sacri, era dato alle fiamme. Nel nord del paese, dove era maggioritaria la religione cristiana, le chiese venivano spogliate di ogni decorazione e convertite in magazzini per i beni di prima necessità. Essere sorpresi a leggere un qualsiasi testo religioso o a pregare poteva portare all’arresto in pochissime ore. I sopravvissuti raccontano che spesso anche documenti e oggetti di chiaro valore storico venivano distrutti dalla cieca furia comunista che agiva mediante uomini rozzi, semi analfabeti che speravano di ottenere un ruolo all’interno della nuova società. Le associazioni religiose, una volta rese legali, hanno trovato nell’Albania uno stato dilaniato dalle vicende politiche, dove la gente era poco interessata alla fede, sforzandosi invece di trovare una sistemazione migliore all’estero. Questa peculiarità ha però reso il paese un lampante esempio di dialogo e convivenza pacifica, dove musulmani e cristiani vivono uno accanto all’altro, legati non di rado anche da vincoli di matrimonio e quindi di sangue. L’identità culturale e linguistica viene ben prima di quella religiosa, relegata ad aspetto secondario dalle minime influenze sulla vita quotidiana.

musulmani e cristiani vivono uno accanto all’altro, legati non di rado anche da vincoli di matrimonio e quindi di sangue” (nella foto: Durazzo, una moschea, fonte: All your donations go to www.bagandou.de da Pixabay)

E le festività?

Come prevedibile, le uniche feste liberamente celebrate erano quelle prettamente laiche come il Capodanno, l’anniversario dell’Indipendenza o il Primo Maggio. Il Natale, la Pasqua o il mese sacro del Ramadan venivano totalmente dimenticate, un lontano ricordo della borghesia anti regime. Qualche celebrazione religiosa resisteva, seppur tra mille difficoltà ed in modo più modesto, solo nelle località più remote, distanti dall’occhio vigile dello Stato. Questi anni così bui hanno lasciato delle conseguenze visibili anche oggi: l’albero di Natale viene ad esempio chiamato “albero del Capodanno” poiché si allestiva non per motivi prettamente religiosi ma solo per celebrare la fine dell’anno, spogliato del suo significato reale.

Liberi dalla censura?

Indubbiamente la censura continua ad esistere anche nei paesi più sviluppati manifestandosi nelle sue varie sfaccettature e in vari contesti: nel cinema, nella letteratura, nel giornalismo, nella moda etc… L’eliminazione totale di ogni tipo di censura è qualcosa di impossibile da realizzare, ma è un utopia, un ideale che ci spinge a mettere tutto in discussione, a cercare sempre una maggiore libertà di pensiero. Ogni società porta con sé un interesse nuovo, focalizzandosi su aspetti inediti dei contesti con cui abbiamo a che fare. Sono realtà come le dittature, purtroppo ancora attuali, a farci capire l’importanza di una lotta continua poiché le nostre libertà sono frutto di sacrifici umani che hanno un volto e un nome spesso ignoto e mai si dovrebbero dare per scontate.