Pinuccio Sciola nasce a San Sperate il 15 marzo 1942 in una famiglia dedita al lavoro dei campi. Nel 1959 partecipa come autodidatta a un concorso vincendo una borsa di studio per frequentare l’Istituto d’Arte di Cagliari. La sua formazione non finisce nel Capoluogo sardo, ma si sposta a Firenze e Salisburgo, dove frequenta i corsi di Marcuse, Vedova e Kokoschka.

Le sue collaborazioni in tutto il mondo, fra Francia e America latina, passano tutte attraverso l’esperienza ideata, maturata e vissuta a San Sperate (CA), che lui immagina paese dei murales e della sensibilità artistica e che ritrova così alla sua dipartita improvvisa: listata a lutto fra lenzuola bianche e muri colorati con le storie e le linee di infiniti artisti.

Pinuccio Sciola, Giardini sotto il Bastione di Cagliari (Foto di Marcello Treglia)

Pinuccio Sciola, Giardini sotto il Bastione di Cagliari (Foto di Marcello Treglia)

Un poeta che percorre le vie del mondo

Espone nelle più grandi realtà museali e urbanistiche del mondo, superando il muro geografico e delle correnti artistiche. La vita intera di Sciola è un superamento di muri considerati generalmente invalicabili: nato in un piccolo centro agricolo dell’Isola, disegna un percorso formativo e artistico capace di farlo diventare una personalità autenticamente internazionale, come pochi altri, forse Nivola, hanno saputo essere.

Dagli anni Settanta la sua arte è dilagante (Messico, Germania, Francia e Italia, tanta Italia). Un poeta che si scrolla continuamente di dosso la terra dalle scarpe e percorre con la forza dei polpacci, come direbbe De Beauvoir, le vie del mondo.

Pietre sonore e muri abbattuti

Non solo, Sciola valica il muro della materia e rende la pietra leggera avvicinandola al suono e inventando le “Pietre sonore”. Sculture simili a menhir che, lavorate in modo particolare, se lucidate o accarezzate con le mani o piccole pietre, producono suoni melodiosi simili al vento che soffia fra le rocce, alla voce umana o al legno e al metallo. La sensibilità dell’artista nell’inciderle, tracciarle e idearle porta a mille sonorità inaspettate e conduce da lui turisti, appassionati, studiosi e giovani di ogni paese e provenienza.

Il concetto della pietra, così connaturato all’ essenza della Sardegna, pesante e ancorata alla terra, viene superato e sublimato in un linguaggio musicale etereo, catturando l’essenza immanente dell’animo isolano e, più in generale, della natura umana. Siamo infatti carne e ossa, sangue e nervi, ma anche e soprattutto pensiero. Capace di creare in una dimensione sospesa, sentiva l’obbligo di rendere eterne la gioia, i dolori e anche le sciagure umane.

Il suo merito, oltre all’ immenso lascito artistico e umano, è essere stato sempre lontano dai provincialismi, dalla Camarilla così invisa a Giovanni Battista Tuveri e che lui ha sempre evitato, da vero sardo, pronto al dialogo, allo scambio. Per sua stessa ammissione ha sempre raccolto invidia in patria e lodi all’estero. Poco incline ai compromessi, abituato a far cantare la pietra, trovava prima o poi il modo di trasformare in aria la barriera delle ristrette cerchie.

By Matteo Tuveri