Parlare di Internet in Cina è di per sé un’impresa da non sottovalutare. Una politica isolazionista ha fatto sì che i più noti social made in U.S.A. come Facebook, Instagram o Whatsapp venissero bloccati. Il paese è dotato di una propria rete internet minuziosamente controllata dal governo centrale di Pechino. WeChat, Sina Weibo e Youku sono solo alcuni tra i network alternativi a cui gli utenti cinesi si collegano ogni giorno condividendo materiale multimediale, messaggi e aprendo discussioni tra le più varie. Tuttavia, è risaputo che il paese è vittima di una pesante censura che impedisce una vera e propria libertà di stampa. Sono ancora molti i passi da percorrere per raggiungere gli standard occidentali. Succede quindi che su Douban, una piattaforma in continua crescita fondata nel 2005 da Yang Bo, spariscano da un giorno all’altro diversi gruppi, “colpevoli” di affrontare temi delicati come il femminismo e l’emancipazione della donna in una società ancora profondamente patriarcale.

Fonte: www.whatsonweibo.com

Dal 12 aprile di tali discussioni sul sito non c’è più traccia. Per il Partito Comunista Cinese esse rappresentano una forte minaccia per la stabilità politica e sociale dell’intera comunità. Ideali troppo progressisti vengono soffocati sul nascere (censurata anche la vittoria agli Oscar di Chloé Zhao), impedendo alla società cinese, composta da più di un miliardo di individui, di evolversi in modo libero e quanto più indipendente da tradizioni ormai obsolete.

Il gigante asiatico è carico di inquietanti contrasti: un paese che da un lato si sta dimostrando capace di grandi opere ingegneristiche e tecnologiche, ma che dall’altro fallisce indecorosamente nel tutelare le libertà più basilari. Quale sia il vero volto di questo paese è ad oggi una domanda dalla risposta incerta.

Il 6B4T

6B4T è il criptico nome del gruppo femminista incriminato da Pechino. Originario della Corea del Sud, esso si pone l’obiettivo di educare le donne cinesi ad una sempre maggiore libertà di azione e di pensiero, esaltando la femminilità, l’identità sessuale e sdoganando ogni tabù.

Il loro nome ha una forte valenza simbolica: le “6 B” fanno riferimento alle sei negazioni: non sposarsi, non avere relazioni sentimentali, non avere rapporti sessuali con uomini, non avere figli, non acquistare prodotti ostili per le donne e non eludere la collaborazione femminile. I membri che ne fanno parte tentano di liberarsi il più possibile dai canoni imposti dai loro padri. In una società come quella asiatica, dove la figura del padre ha ancora un’aurea ai limiti del divino, è una missione molto complicata, ostacolata come prevedibile da un governo timoroso dei cambiamenti in atto.

Le “4 T” rappresentano invece i quattro rifiuti: non accettare gli standard di bellezza e la conseguente oggettivazione sessuale, l’ossessione per la cultura Otaku (di esportazione giapponese), il fenomeno degli “idol” musicali, e la religione.

Questo spiega il motivo per cui il movimento è caduto vittima della censura e ciò, sfortunatamente, non deve stupire.

La sparizione dei gruppi in questione non è però passata inosservata soprattutto grazie alla denuncia e all’impegno di Zhou Xiaoxuan, attivista, figura chiave del movimento #MeToo in Cina e vittima di molestie sessuali ad opera di un noto conduttore televisivo. Questa paladina dei diritti delle donne si è fatta nuovamente avanti per difendere quelle che chiama le “sorelle di Douban”.

Il caso è diventato subito virale scatenando l’indignazione degli utenti che non hanno fatto altro che confermare la volontà delle nuove generazioni di cambiare passo, lasciarsi alcune tradizioni nocive alle spalle e sperare in una Cina più libera dalle millenarie restrizioni sociali.

Il Governo è avvisato, la sfida è tutta da giocare sulla rete e gli utenti sono pronti a dar voce a discussioni, soprattutto sui temi più scottanti. Sui social cinesi si è alzato il sipario di un teatro pronto a stupire e a dimostrare che i giovani di oggi sono ben altro rispetto ai loro padri.