Nella dimensione crossmediale nella quale fluttuiamo, fatta di meteore del web e artisti casuali dell’inutile, chiunque si fa genio e storyteller ed è spesso difficile distinguere il professionista preparato dal loquace generatore di filmati che, fra voci, vocine, balletti scordinati e reading improvvisati, fa spesso capolino dai nostri monitor.

Ci ha chiarito un po’ le idee Salvatore De Mola, autore de Il Commissario Montalbano, Il giovane Montalbano, I Cesaroni e Gente di Mare, che abbiamo incontrato il 22 gennaio alla Facoltà di Studi Umanistici di Cagliari.  Davanti a una folla curiosa di studenti, che si è radunata per carpire i segreti di colui che ha trasformato i libri di Andrea Camilleri nel fenomeno televisivo che tutti conosciamo, abbiamo parlato di libri, tecniche di scrittura e dell’immancabile commissario di Agrigento. E non era cosa facile da fare, una scommessa, come la chiama lui. Un salto nel vuoto.

Salvatore De Mola durante l'incontro con i lettori alla Facoltà di Scienze della Comunicazione di Cagliari il 22 gennaio.

Salvatore De Mola durante l’incontro con i lettori alla Facoltà di Scienze della Comunicazione di Cagliari il 22 gennaio.

Cosa significa essere uno sceneggiatore?
C’è la credenza che la maggior parte del materiale televisivo provenga dai libri, quando in realtà solo un trenta per cento viene dal romanzo. Tutto il mare di storie che circola in televisione, tra serie e film, nasce da uno come me, dallo sceneggiatore. La prima figura, quella fondamentale nella filiera produttiva di un film. È sempre stato così, sempre lo sarà. A meno che un domani non creino un software in cui basti mettere un ragazzo e una ragazza che prima non si sopportano e poi si innamorano, per far uscire Orgoglio e Pregiudizio.

Le storie sono un patrimonio richiesto. Ma non è come una volta. Per scrivere Sedotta e abbandonata, Pietro Germi ha passato tre mesi in Sicilia per osservare, respirare e conoscere la terra. Gillo Pontecorvo per girare la battaglia di Algeri ci è andato davvero in Africa. E io, invece? La prima volta che sono andato in Sicilia scrivevo Montalbano già da cinque anni. Poi ho iniziato ad andarci ed è cambiato tutto, si sono visti i risultati. C’è bisogno di studio e verità per creare delle connessioni col pubblico, che è attento. Ci vuole commozione, unione, per creare nello spettatore un sentimento. Le produzioni devono sensibilizzarsi a questo aspetto, tornare a puntare sulla credibilità e investire denaro. E invece ti chiedono di affidarti al Web che, per carità, è fondamentale ma non abbastanza. Non è facile ribellarsi. Come per gli altri mestieri, ti fanno sempre presente che ne trovano altri cento che possono farlo al posto tuo.

Che rapporto ha lo sceneggiatore con gli altri mestieri del cinema?
Camilleri si sveglia la mattina, si lava, si veste e si chiude nel suo studio, in solitaria. Lo sceneggiatore non scrive quasi mai da solo. Per Montalbano a volte siamo in tre, per I Cesaroni una volta eravamo in sei. Siamo un team e anche se è complicato, è bello. Se devi far ridere, il primo feedback lo ricevi dai tuoi collaboratori. E se succede, hai fatto centro. Lo sceneggiatore sta fra due fuochi, principalmente: tra lo scrittore e il regista. Gli altri non li vedo quasi mai. Con Gianluca Tavarelli (regista de Il Giovane Montalbano) c’è una bella collaborazione.

Andrea Camilleri al Salone del Libro di Torino (foto di Vito Vita)

Andrea Camilleri al Salone del Libro di Torino (foto di Vito Vita)

Com’è lavorare con Camilleri?
(Sorride) Con lui è una vera pacchia, perché è stato sceneggiatore e  si vede. C’è solo un punto sul quale è davvero fermo, irremovibile: la politica. Ricordo una volta in cui, in un romanzo, al commissariato di Vigata arrivava un Montalbano sconvolto dalla sentenza sul G8 di Genova, pronto alle dimissioni. Era una scena molto complessa, carica di fatti storici, cosa rara in Montalbano, e così noi sceneggiatori ci siamo autocensurati, un po’ per timore, un po’ per motivi di economia: ogni romanzo ha talmente tanto materiale che ogni volta da un singolo libro si potrebbe creare una miniserie. Ma Camilleri si è opposto categoricamente. Un’altra volta c’è stato suggerito di cambiare il nome di una delle due famiglie mafiose ricorrenti nei romanzi di Montalbano, i Cuffaro, perché il presidente della Sicilia si chiamava così e alla Rai pareva brutto. Camilleri si rifiutò di mettere la sua firma all’episodio e tutti si piegarono a quello che voleva lui. Il potere dello scrittore è direttamente proporzionale ai libri che vende. Nel caso di Camilleri, quindi, è molto.

Nei romanzi Montalbano è un personaggio spesso introspettivo, ci sono passaggi narrativi psicologici. Come è possibile renderli sulla pellicola?
È una questione complessa. Molti scelgono la voce fuoricampo, come nel caso di American Beauty, la voce fuoricampo più bella del mondo. Ma noi abbiamo scartato questa opzione. E così ci siamo rifatti ad alcuni espedienti, come i dialoghi con Livia, i brainstorming con Fazio. Espedienti.

Andrea Camilleri, Morte in mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano.

Andrea Camilleri, Morte in mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano.

E “Il Giovane Montalbano”?
È il Montalbano 2.0, stesso medium ma nuova modalità. C’è sempre verticalità ma c’è anche un filo conduttore che accompagna la narrazione per tutta la serie. Camilleri quando ha scritto il romanzo non pensava al concetto di serialità, per lui il suo primo libro era un unicum. Per questo i suoi personaggi sono già definiti, non cambiano, non c’è gradualità: Livia è sempre evanescente, Catarella sbatte contro le porte. Nel Giovane Montalbano invece i personaggi si presentano, si evolvono.

Cosa direbbe ad un ventenne che oggi vuole fare lo sceneggiatore?
Innanzitutto per rispondere sento di dover ringraziare la Sardegna, che ha reso possibile il mio mestiere. La mia carriera è iniziata quando agli inizi degli anni Novanta sono arrivato in finale al premio Solinas. Ho sempre desiderato scrivere, ma non sapevo come iniziare. Non era come adesso, che fra Youtube, telefonini e sceneggiature online si può studiare, ci si mette alla prova. Non avevamo mezzi. Quando siamo arrivati in finale non potevo crederci. Ho passato tre giorni con i giurati, e parlo di Monicelli e Scola, i miei idoli del cinema anni Sessanta.

Alla fine De Mola cede anche ai tecnicismi. Si tira su le maniche e inizia a cercare sceneggiature, a mostrare clip. Mette le mani in pasta, racconta i segreti del carattere Courier New, del perché è un must nella stesura delle sceneggiature. E conclude: “Non innamoratevi mai troppo di quello che scrivete, non cadete nell’errore peggiore. Perché se improntate un film su una scena, con molta probabilità sarà la scena che elimineranno.” Fa un sorriso quasi malinconico. Nella confusione si sente un “Montalbano” perso nella folla, una sfumatura smarrita, e lo sguardo si illumina. Si torna al lavoro, ma con un piccolo scoop per i lettori di MockUp: i prossimi nuovi episodi di Montalbano saranno il 22 e il 29 di febbraio.

By Nicol Zacco


Immagine di copertina: Le parole del commissario. Dialogo con Salvatore De Mola sceneggiatore di Montalbano, Cagliari 22 gennaio 2015, Facoltà di Scienze della Comunicazione di Cagliari, particolare della locandina con Michele Riondino e Luca Zingaretti (Tutti i diritti riservati©).