Gloria Sofia è originaria di Capo Verde e ora vive in Olanda, dove studia per un MA in Management and Nature Conservation. Riassumendo in poche parole la sua vita, Gloria Sofia ha conseguito la laurea in Ingegneria e Gestione dell’Ambiente nelle Azzorre, collabora con riviste e testate giornalistiche internazionali, compone musica e scrive poesie, tradotte in dieci lingue diverse e pubblicate in numerose antologie e riviste letterarie nel mondo. Rappresenta il suo Paese, Capo Verde, in congressi internazionali di letteratura ed è stata invitata ad Harvard e in altre università a tenere delle conferenze su gender e letteratura. Quello che nelle biografie ufficiali non appare è che Gloria Sofia è anche una sognatrice e nei suoi versi racchiude tutti i colori e le emozioni, in ogni loro contraddizione, del suo difficile viaggio di vita. Entrare per un miglio nelle sue scarpe significa sognare i sogni di una bambina principessa, cresciuta tra l’azzurro e il verde della sua isola, ma anche giocare per la strada con lei, fantasticando per placare la fame. E significa poi combattere le sue battaglie di donna, lasciare tutto ciò che si conosce, arrivare in un altro continente e creare radici, diventare madre, guardare negli occhi la propria ombra, cercare incessantemente l’armonia nella disperazione, il carnale, lo spirituale, le piccole gioie ilari, il senso della vita.

Gloria Sofia, poetessa intervistata da Lucilla Trapazzo
Gloria Sofia, poetessa intervistata da Lucilla Trapazzo

Gloria Sofia, quando e perché ha cominciato a scrivere?

Quando inizia davvero la scrittura? Quando cominciamo a scribacchiare a scuola oppure quando scopriamo la nostra voce poetica? Mia figlia Alice, per esempio, inizia ora, a scuola, con i primi titubanti tentativi di scrittura, ma quando parla ha già così tanta poesia nelle sue parole, che alle volte mi sembra un’anima antica. Per quanto riguarda me ho cominciato a scrivere parlando degli abiti dei fiori e degli oceani, un modo per oltrepassare il silenzio a cui mi induceva un molestatore sessuale. Scrivevo quando avevo fame, mentre giocavo per strada e immaginavo una tribù di donne fragili e di bambini che esistevano nel mio stomaco, secondo la mia fantasia. Scrivevo quando l’oscurità era più forte della luce. In questo senso posso dire di aver scritto da sempre.

Qual è stato il suo primo impatto con l’Europa dopo aver lasciato Capo Verde, e cosa l’ha cambiata maggiormente?

Senza dubbio molte lacrime, molti colori, moltissimi odori, grandi rivolte, ambizioni, numerosi sogni, tanta paura, specialmente il desiderio e l’illusione che sia possibile respirare bellezza e creare poesia dal dolore. Il mio rifugio segreto è stato scrivere, raccontare i segreti dei demoni della mia mente in oltre sessanta diari, purtroppo distrutti da un’inondazione. Non so se oggi sarei capace di rileggere di quei demoni che hanno inondato le mie parole (poesie, prosa, racconti). Ho sempre saputo che avrei lasciato Capo Verde… quasi tutti andiamo via. Ma io non ero alla ricerca di una vita migliore, quello che stavo cercando era la versione migliore di me, o forse semplicemente era un modo di trovare me stessa e di continuare a vivere.

Qual è stato il ruolo della poesia in quel momento della sua vita?

Mi ci sono voluti anni per denudarmi davanti al mondo. Le opinioni degli altri, specialmente se scoraggianti, sono sempre state la mia prigione, soprattutto quando sentivo di aver messo nei miei versi tutta me stessa e tutte le mie emozioni. Non ero in grado di capire, rifiutavo di credere che io fossi una parte di un mondo che elargiva critiche e pareri, volevo invece sentirmi parte di una comunità fatta di persone e di parole. Ma la poesia che sentivo dentro non si è mai arresa, e posso dire che questo è stato il dono maggiore che il mio mondo poetico abbia potuto farmi, la forza di non darmi per vinta. Ci sono poi voluti circa dodici anni per decidere che era arrivato il momento di considerarmi davvero poeta e pubblicare.

Come è cambiata la sua poesia dopo aver lasciato il suo Paese?

Ho sempre scritto di nostalgia e di disperazione per la mia terra, e alla fine ho tristemente scoperto che in fondo non era importante dove vivessi, nella pioggia gelata o nel sole abbagliante, nell’oceano azzurro o nel fiume grigio che sembrava la mia anima. Niente in fondo poteva influenzare quello che ero profondamente. I giochi e gli elementi costitutivi della mia infanzia e della mia memoria, i mattoncini, le pietre, il gesso con cui plasmavo la mia realtà non cambiano, anche quando li dipingo con i colori più dolci dell’universo. Io sono quella che sono, e le mie poesie scadenti o meno, rispecchiano le mie emozioni. Probabilmente sono cambiata, perché cambiamo sempre, ma l’essenza resta immutabile.

Quali elementi della sua vita passata conserva nelle sue poesie e cosa la ispira del nuovo mondo?

Non sento di avere elementi, non ho ispirazione, spesso non ho neanche speranza. Mi considero una poeta “scrofa”, che si rivolta nel suo fango. Non mi fraintendete… Scrivo della tristezza perché non so scrivere altrimenti… forse mi rifiuto di apprendere il gusto della felicità, e mi chiedo se questa immensa tristezza sia figlia della voce poetica che mi abita o se sia semplicemente la mia parte oscura di donna che non trova l’amore dentro di sé. Sfortunatamente, i versi che vivono dentro di me perdono sempre la battaglia, perché lottano tra di loro e con me. Che ironia, il poeta resta soffocato proprio dal vuoto delle parole. La donna insoddisfatta, la madre triste e la catastrofe di moglie, la figlia ingrata, come ho già detto altrove, hanno piantato radici profonde nel mio petto, con la speranza che i colori e gli odori possano fiorire oltre le paludi e le radici rabbiose che mi tengono intrappolata nel mio fango poetico.

Qual è il ruolo del multilinguismo nelle sue poesie, quali le sfide?

Penso che le traduzioni in diverse lingue siano un modo perché la mia anima possa piovere in paesi diversi. In altre parole, con la traduzione un poeta distrugge i confini e pianta una bandiera in varie parti del mondo. Si sentono spesso critiche alle traduzioni, ma la poesia si trasforma da persona a persona; neanche io sarei in grado di tradurre la poesia che scorre nelle miei vene. Alle volte sento una disperazione che non riesco a mettere in parole, e anche se riuscissi a descriverla, non sarebbe che un atomo di quello che sento. Rischio forse di non essere mai capita, perché la poesia va oltre ogni comprensione. Anche con traduzioni in diverse lingue, mi sento mortale e incompresa, perché la mortalità risiede nella memoria e forse in un sorriso.

Mare di Capo Verde

Acqua della vita
Acqua della speranza
acqua dei sogni
cammino che insaporisce l’anima
fulcro di tutte le lacrime
 
Mare
culla dei pescatori
preghiera delle pescivendole
allegria degli infanti
sollievo delle malinconie
 
Mare
via eterna che separa i corpi
via eterna che unisce i continenti
 
Mare
sogni di isolotti
frammenti di cuori
Intrecci di Poesia

Adorno nel tuo petto
laghi di corpi incarnati
gli intrecci di poesie adattati
a questo tuo corpo esausto
il mio amore che tormento
eco dei tuoi occhi
sangue triste e vecchio
questa vita di morte abbandonata
d’amarezza incatenata
alle risa senza brillare









Le mie origini

sento l’odio che mi ha cresciuta
la mescolanza dello sporco con il quale sono nata
embrione dei funghi che ho formato
sentimenti distribuiti sparpagliati che ho fumato
 
originaria del grido no e sorriso sì
condannata a successivi giorni alterni
lacrime di dolore per sempre relegate
in questo spirito senza alcun margine
 
piango, grido e rievoco le mie origini
corro senza stancarmi, senza coraggio
arranco vene di braccia sanguinanti
voglio lavare il mio sangue. Ah,
che dolore
Intrecci di Poesia, 2016, C.Ed. BRIAL Traduzione: Dulcineida Gomes