Nell’ultima serie Netflix di Gilmore Girls (in Italia diventato il democristiano “Una mamma per amica”), la fortunatissima serie americana nata nell’ottobre del 2000, l’aspirante giornalista Rory vorrebbe scrivere un breve pezzo sul “fare la fila” ai tempi dei Millennials. Una specie di cronaca semiseria sull’abitudine dell’homo videns di provare passione per l’attesa in piedi, spesso tutta la notte, per oggetti ritenuti must have. La protagonista della serie TV abbandona il proposito per sopravvenuta noia, ma voi avete ma provato a riflettere sulla questione?

Matteo Tuveri, In fila (per esserci) - www.mockupmagazine.it

Quando si parla di fare la fila per un oggetto, o un artista famoso, viene di sicuro in mente il serpentone di persone che, da New York a Singapore, sostano per strada con lo scopo di essere i primi a poter acquistare un iPhone. L’ultimo è stato il numero 11 (ma mentre scrivo potrebbe già essere nei negozi il numero ventinove). Seggiolina, cuffietta, qualche risatina e un panino al formaggio per sostenere il fisico, questi gli strumenti dell’aspirante proprietario di un oggetto alla moda.

Gli oggetti tech del colosso di Cupertino non sono tuttavia gli unici a ispirare nelle folle il lubrico desiderio di mettersi in fila: borse, scarpe, cantanti, star di Hollywood (o di Bollywood), leader religiosi e i noti saldi riescono a portare le persone in fila grazie all’inquietante desiderio dell’essere umano di avere qualcosa che lo distingua dagli altri. La fila, dunque, non è come un tempo il livellatore di speranze, pensiamo per esempio alla fila per pagare la bolletta alle poste o la fila con la tessera annonaria durante le due guerre mondiali, ma è una sorta di anticamera in un ideale Got Talent in cui emergere sulla grigia folla è in realtà il vero prodotto.

Perché fai la fila? La risposta è generalmente evasiva, qualcuno sostiene di essere un appassionato di tecnologia, altri sostengono di aver fatto una scommessa con gli amici. Ma perché fare proprio la fila e non andare in negozio il giorno dopo per avere la stessa cosa, ma senza quel sacrificio? La domanda non ottiene mai la risposta. Nessuno sa perché, lo fa e basta. Non c’è niente di male, il “non so” è d’altronde la motivazione che va per la maggiore nella vetta delle classifiche dei libri più venduti.

In fila (per esserci) - www.mockupmagazine.it

“Non è necessario esserci nel vero senso della parola, basta vedere, pubblicare un post con l’hashtag giusto.”

Torniamo a noi: dopo l’intervento antropogenetico della televisione sull’essenza umana, ormai videoessenza, per esserci occorre apparire. Non è necessario esserci nel vero senso della parola, basta vedere, pubblicare un post con l’hashtag giusto o magari indignarsi insieme ad altri per la medesima cosa (indignarsi è essenziale, se non siete indignati siete con i Poteri forti, quelli con la P maiuscola che stanno in una fila diversa). Mettersi “in line”, come direbbe Boris Johnson, insieme ad altre persone, o ad amici virtuali, in una ideale coda per la fratellanza (virtuale) universale in cui assaporare “l’ebbrezza di assieparsi l’uno sull’altro, la beatitudine di esistere come un unico corpo collettivo danzante”. Anche se la frase di Alberoni, citata da Sartori nel suo libro più famoso, si riferisce alle discoteche, che proponevano un’esperienza corporea reale, essa ben si adatta alla sensazione che si prova nello stare in una pagina facebook a insultare un politico, una influencer bionda e “troppo” ricca o riempire di frecciatine la starlette del momento.

La fila dunque può essere concreta, quella per i telefonini, per Benji & Fede, per Chiara Ferragni o per i resti mortali di Padre Pio (nel migliore dei casi per accedere a un museo), frutto anch’essa di una realtà vista e dunque appetibile, oppure immaginaria (virtuale) per odiare una categoria, sostenere un’idea o fare parte di un mondo di riferimento, spesso percepito come più luminoso rispetto al proprio.

In entrambi i casi, la fila è una speranza di trascendenza verso un divino obiettivo creata da un essere che, avendo esaurito o ridotto al minimo la sua capacità di astrazione, deve concretizzare in qualcosa il suo desiderio di sostanza.

By Matteo Tuveri