Quando l’acqua circonda la tua casa e poi vi entra, prima dalle fessure e poi sfondando le porte, si annuncia con un silenzio agghiacciante in modo che tu la possa sentire prima e ne possa provare terrore.

Questa è la sensazione di un’alluvione, perché chi scrive non si e fatto mancare nemmeno quella: nel paese i cui ho vissuto, in provincia di Cagliari, su un intero fiume è stato costruita una parte di paese. In questo modo in quel famigerato anno dell’alluvione, la pioggia, segno dei cambiamenti climatici (di cui allora non si parlava), si alleò con la scarsa manutenzione delle caditoie e dei tombini e con la cementificazione. L’acqua invase prima il centro del paese, seppellendo le case, e arrivando fino alle parti più periferiche.

Ma c’è anche un dopo alluvione, di cui nessuno parla (nell’impeto dell’onda di commozione): quello che ti costringe a salire sui piani alti e ad attendere che l’acqua defluisca lo conosciamo tutti noi vittime del dissesto. Ed è drammatico. Tu agisci velocemente, sollevi le cose che ritieni di valore su negli armadi e nei pensili (sperando – con ottimismo – che l’acqua non arrivi fin lì). La sua forza diventa un fiume, e la contempli terrorizzato mentre copre tutto quello che conosci.

Poi c’è il momento in cui l’acqua è defluita, in cui la protezione civile (la migliore del mondo, ricodiamocelo) gira per le strade, e tu ritorni a casa, ringraziando che in famiglia tutti siano vivi (mentre altre persone sono morte). Compresi gli animali che hai preso quando sei scappato per rifugiarti sul tetto o ai piani superiori.

Quando entri in casa, quella che reputavi il tuo castello inespugnabile, che magari hai pagato con sacrifici di mutui di venti o trent’anni, senti la puzza di latrina, perché tutto quello che era nei tombini è uscito dai sanitari insieme ai cadaveri dei ratti che ancora galleggiano sul pavimento.

Allora inizi a pulire forsennatamente, a recuperare tutta una vita sporcata dal fango, dalla melma e dal guano. Il pensiero va prima di tutto alle fotografie, e tiri un sospiro di sollievo se te le sei portate appresso o se le hai preservate in qualche modo.

Dopo giorni viene fuori che forse lo stato ha stanziato dei soldi per aiutare le persone, viene fuori (e tu lo segui con apprensione dai media, mentre tutto l’umido che hai preso ti sale fino alle ossa e ti fa venire un febbrone che non vedevi da tempo) che la Regione gestirà i fondi, viene fuori che i fondi sono pochi e che il Comune, abbandonato a se stesso, fra l’incapacità e la reale difficoltà, non può riconoscerti che duemila o tremila euro (a fronte di danni che superano i dieci o ventimila euro, rimanendo ottimisti) e che il resto, se lo hai di tuo, dovrai anticiparlo, certificarlo e forse, presentando domanda, ne avrai il riconoscimento (ripeto: forse).

Ed è allora che ti risvegli e capisci che quella guerra contro l’alluvione te la devi combattere da solo. Una guerra che va ben oltre il maltempo, ma che è organica disorganizzazione di fronte alle catastrofi che ci aspettano e che già sono i nostri occhi, e che si chiamano cambiamento climatico. Mentre il cosiddetto “Programma straordinario di resilienza delle aree a rischio dissesto idrogeologico con interventi mirati” rimane lettera morta, per ora non finanziata, del Governo; la Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha proposto lo spostamento di fondi del PNRR sulla messa in sicurezza del territorio. Occorre infatti che il maltempo, che maltempo non è, diventi consapevolezza di tanti disastri annunciati davanti al cambiamento climatico. Il dramma dell’Emilia Romagna, in cui si fanno le prove della fine del mondo, evidenzia un paese fragile in cui emergono abuso edilizio, cementificazione forsennata, infrastrutture deboli e uno stato sociale sempre più sfilacciato.

Ben venga la solidarietà alle vittime del recente disastro in Emilia Romagna, per le loro perdite, tristi e drammatiche, ma la politica, nei luoghi preposti, deve dare voce a tale solidarietà in azioni, leggi, stanziamenti e scelte ben precise che non possono limitarsi al momento di dolore (e per evitarne altri, prevedibili).

Foto di copertina: Un uomo osserva il parcheggio principale del centro storico completamente allagato, a Lugo (Ravenna), 18 maggio 2023. ©ANSA/ FABRIZIO ZANI