Dal predominio culturale del Cristianesimo la libertà di costumi degli antichi romani è stata sostituita, in nome del peccato e dell’espiazione, dal mito dalla muliebre obbedienza delle matrone (pudicitia, castità e modestia: “sono una madre, sono matrona, sono romana!” cit.) e dal mito della operosa e guerresca attitudine alle arti militari dei progenitori romani.

Una sorta di sostituzione di valori, a discapito della rappresentazione della reale libertà di costumi degli abitanti dell’Urbe, per tramandare un’immagine. Da quello che tecnicamente viene chiamato Mos Maiorum, ovvero l’insieme delle tradizioni e delle regole sociali degli antichi romani, si è passati nei libri di storia all’esclusiva esaltazione del Pudor, quella vergognosa reticenza che i censori pubblici, difensori della pax sociale, esaltavano per moderare la gestione del piacere (visto come sinonimo di sfrenatezza, se praticato senza controllo).

Intrisa di patriarcato, la società romana era in realtà fortemente attirata dal desiderio sessuale, dalla realizzazione di quest’ultimo, e intesseva su di esso una narrativa di infiniti racconti e relazioni alla quale partecipavano tutte le classe sociali. Tuttavia di tali narrazioni rimane solamente la proiezione che ne facevano alcuni ricchi cittadini maschi, mentre le donne e i liberti (ex schiavi) sembrano essere scomparsi dalle testimonianze letterarie di natura erotica.

Dalle iscrizioni rinvenute a Pompei ed Ercolano emerge tuttavia un mondo stuzzicante, pornografico e, per cosi dire, pruriginoso, che ancora oggi lascia a bocca aperta i visitatori e gli appassionati.

Sulle mura scrostate di ville, case, bagni e lupanari è dunque emerso che “Mirtide” lo sapeva succhiare molto bene (“Murtis, bene | fel(l)as”); che Sabina era più portata per i rapporti orali che per quelli di altra natura (“Sabina, | fe(l)las. | no(n) belle faces”,) e che certamente qualcuno si faceva prendere da un (in)sana esaltazione (la prima cosa, si sa, in un grande amatore) fino a considerare il proprio organo sessuale come l’unico in grado di soddisfare tutta una regione: “Caius) Valerius Venustus, m(iles) c(o)h(ortis) I pr(aetoriae), | [centuriae] Rufi, futut{ul}or maximum” (Gaius Valerius Venustus, soldato della coorte pretoria nella centuria di Rufus, il più grande scopatore di tutti).

Un altro ancora, resosi conto di avere una naturale predilezione per il mondo maschile, salutava la “fica” con solenni addii: “vos mea mentula deseruit.] dolete, puellae.  pedic[at culum]. cunne superbe, va[le]” (“Il mio membro vi ha abbandonato; dispiacetevene, o ragazze; voglio fare sesso solo con gli uomini. Addio fica superba”,).

Compare – per fortuna – anche una voce fuori dal coro che ammonisce dal troppo esaltare le proprie doti amatorie: “Con il tuo membro perdi colpi, il tuo strumento troppi lombi ha suonato”. Il fiasco è dietro l’angolo!

[Sull’argomento: A Sampling of Graffiti and Other Public and Semi-Public Texts from Pompeii and Herculaneum]