Anche noi di MockUp Magazine festeggiamo il Pride Month, mese dell’Orgoglio della Diversità, per celebrare e reclamare l’autoaffermazione, la dignità, l’uguaglianza e una maggiore visibilità delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) come gruppo sociale, nel rispetto della storia, della Dichiarazione dei Diritti Umani (“ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione“) e della Costituzione Italiana (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” – “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.”).

La volpe di MockUp Magazine che celebra il Pride Month (©GiuliaMarini)

Siamo felici di onorare il Mese dei Diritti Civili e Umani e della Diversità con una speciale illustrazione della nostra corrispondente Giula Marini che ha voluto immaginare la nostra volpe rossa, simbolo della nostra testata, che regge la bandiera arcobaleno, dipinta da Gilbert Baker e usata per la prima volta a San Francisco nella marcia del Gay pride del 25 giugno 1978.

MockUp chiede, inoltre, a tutte le correnti politiche italiane di approvare con urgenza il disegno di legge denominato “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” (DDLZAN). Senza mediazioni, così com’è scritto!

La storia

Era il 27 giugno 1969, venti minuti dopo l’una del mattino, quando la polizia irruppe nello Stonewall Inn, un bar gay della Christopher Street nel Greenwich Village, un quartiere di Manhattan a New York. Una volta entrati nel locale, gli agenti arrestarono “coloro i quali si trovavano privi di documenti di identità, quelli vestiti con abiti del sesso opposto, e alcuni o tutti i dipendenti del bar” (così riferisce Martin Duberman nel volume Stonewall, 1993). Alcuni furono picchiati, altri sottoposti a violenza gratuita. A quel punto, alcuni riferiscono che Sylvia Rivera, transgender divenuta un’icona del movimento LGBT, sottoposta a botte e pungolamenti con un manganello, scagliò una bottiglia contro un agente, scatenando la reazione negli altri presenti.

Sylvia Rivera, icona e attivista LGBT
Sylvia Rivera, icona e attivista LGBT

Altri ancora, raccontano che Stormé DeLarverie, attivista lesbica, oppose resistenza incoraggiando la folla. A quel punto gli agenti di polizia furono costretti ad asserragliarsi all’interno del locale, alcuni di loro, presi dal panico, aggredirono numerose persone che passavano lì per caso (il cantante Dave Van Ronk, che faceva una passeggiata nei dintorni, fu malmenato). Vennero arrestate 13 persone, una folla di 2.000 persone oppose resistenza contro oltre 400 poliziotti urlando lo slogan “Gay Power!“. La Polizia fu costretta a chiedere l’intervento delle squadre anti sommossa che però si trovarono davanti una fila compatta di Drag Queen che cantava:

We are the Stonewall girls
We wear our hair in curls
We wear no underwear
We show our pubic hair
We wear our dungarees
Above our nelly knees!

Siamo le ragazze dello Stonewall
abbiamo i capelli a boccoli
non indossiamo mutande
mostriamo il pelo pubico
e portiamo i nostri jeans
sopra i nostri ginocchi da checche!

Seymour Pine, vice ispettore di polizia che ebbe il ruolo di guidare l’incursione nel locale, dichiarò che lo scopo era quello di chiudere lo Stonewall Inn. Ma la situazione per una ribellione era matura: il movimento anti-autoritario era cresciuto, la guerra del Vietnam aveva contribuito notevolmente a maturare nella popolazione una necessità di cambiamento. Le minoranze rivendicavano dignità e rispetto e il movimento per i Diritti Civili dei neri aveva aperto la strada, insieme ai movimenti femministi, allo slogan Gay Power. Ogni scintilla, ogni retata, dettata da ragioni repressive di stampo moralista, bastava per accendere gli animi. Ecco perchè quel 28 giugno 1969 (la guerriglia era durata due giorni) è ritenuto, dagli storici e dagli attivisti per i Diritti Civili, un punto di rottura fra resilienza (termine abusato) e ribellione, una cesura fra “sopportazione coraggiosa” e “massa critica“.

Da decenni di attivismo per i Diritti Civili e Umani nacque il Movimento di liberazione gay (Gay Liberation Front – GLF) che ben presto si diffuse in tutto il mondo e in svariati paesi (ne racconta la storia in Italia il podcast “Le Radici Dell’Orgoglio – Cinquant’anni di storia del movimento LGBTQ+ in Italia”). L’anno successivo il GLF organizzò una marcia commemorativa al Central Park di New York: vi parteciparono circa diecimila persone.