Due strade a un bivio in un bosco ingiallito,
Peccato non percorrerle entrambe,
Ma un solo viaggiatore non può farlo,
Guardai dunque una di esse indeciso,
Finché non si nascose al mio sguardo;
E presi l’altra, era buona anch’essa
(…)

Due strade a un bivio in un bosco, ed io –
Presi quella meno frequentata,
E da ciò tutta la differenza è nata.


(Robert Frost) 

È citando alcuni versi di Robert Frost che voglio aprire questo mio tentativo di narrare la complessa struttura architettonica di 4321, quella che probabilmente rimarrà l’ultima ponderosa opera di Paul Auster (pubblicata nel 2017 dopo sette anni di silenzio). Non si può parlare di un romanzo ma di romanzi, al plurale. Sono infatti quattro le storie che si dipanano nel corso della narrazione.Il protagonista è sempre lo stesso, il giovane Ferguson, e, come in una serie di sliding door (minima citazione per cinefili) o di universi paralleli (per chi è affascinato dalla teoria quantistica), da un punto di partenza singolo (l’arrivo in America del nonno del protagonista alla fine dell’800), la storia personale di Ferguson prende rami diversi, svelando frammenti di vite parallele in un mondo spesso dominato dal caso. Anche i personaggi secondari sono gli stessi in ogni storia, hanno le stesse caratteristiche fisiche, ma ruoli e significati differenti nei processi di formazione del protagonista. I Ferguson multipli vivono ognuno il proprio dramma personale, eppure sono la somma di un solo personaggio, con gli stessi interessi, le stesse idiosincrasie, le stesse visioni, lo stesso DNA.

4321 è un progetto molto ambizioso, fedele allo stile di scrittura incisiva, limpida e diretta, fatta di narrazioni essenziali e di parole quasi scultoree a cui lo scrittore ci ha abituato, analizza e descrive la solitudine esistenziale dell’uomo contemporaneo, che si muove alla ricerca del senso e del significato della propria esistenza e dell’identità storica individuale e collettiva.

“Nelle narrazioni multiple si intrecciano e si sovrappongono i dettagli vividi della storia statunitense dell’ultimo secolo, dalle proteste sociali alla storia dell’arte, dalla letteratura all’emigrazione di fine ‘800” – Foto da: Victoria Borodinova (Pixabay)

Il romanzo (che in sintesi possiamo definire una sorta di coming of age -Bildungsroman del protagonista ma anche di una nazione) racconta tanto dello stesso Auster. Per chi ne conosce la vita (anche attraverso la lettura dei suoi libri), ritroviamo molti riferimenti alla biografia personale dello scrittore nelle storie dei quattro Ferguson. Di famiglia ebrea benestante di origini polacche, l’infanzia dei protagonisti è segnata dalla crisi matrimoniale dei genitori. L’amore per la letteratura del giovane Ferguson è trasmesso da uno zio girovago che ha viaggiato parecchio per l’Europa, e poi i soggiorni a Parigi, gli studi alla Columbia University, la vita sentimentale, tuttavia non è un libro autobiografico. Nelle narrazioni multiple si intrecciano e si sovrappongono i dettagli vividi della storia statunitense dell’ultimo secolo, dalle proteste sociali alla storia dell’arte, dalla letteratura all’emigrazione di fine ‘800, così come emerge chiaro un ritratto storico della media borghesia di origine ebraica.  È come se il libro fosse scritto in una serie di cerchi concentrici, la Storia, il Paese, la società, e al centro di tutto c’è l’Io, fragile, complesso. Ogni parte del romanzo (ogni capitolo parla di un Ferguson diverso 1-2-3-4 e volendo si potrebbero leggere separatamente, come quattro storie diverse), segue una narrativa cronologica. Per chi è abituato alla negazione di una narrativa lineare nei libri di Auster, questa è una novità, ma è proprio questa narrazione multipla a donare al lettore un ruolo non passivo. Sta a noi infatti tenere le fila delle diverse storie, cucire con punti di sutura i salti temporali. Insomma Auster scrive per un lettore attento e che sappia orientarsi (o meglio perdersi) nel suo dedalo di intrecci e di fenditure.