Quando si va via da un posto c’è sempre qualcosa da raccontare, altrimenti scrittori e poeti avrebbero fatto la fame. Alla fine l’hanno fatta comunque ma questa è un altra storia.

Era il 2021 e io me ne andavo da Bolzano anche perché non riuscivo a tenere i piedi sulle stesse piazze, le stesse vie, gli stessi incroci o gli occhi sugli stessi volti.

Bolzano. Parole e immagini (Jon Mucogllava - www.mockupmagazine.it)
Quella Bolzano in cui non sapevo in che lingua dire “ciao”. Le vie non erano semplici vie, erano delle straβe, con quella β elegante, che rendeva aristocratici anche gli angoli della sua periferia appena accennata.

E me ne andavo da quella Bolzano sola, chiusa tra le sue montagne e i fiumi, dalle dolomiti, intrappolata dal Latemar, dallo Schiliar dal Catenaccio, dall’Adige e dall’Isarco; quella di Messner. Quella Bolzano che a volte era Bozen, altre Bulsan, quella dove ci voleva il bilinguismo ma le scuole separate. Quella Bolzano che aveva dimenticato il terrore, le bombe, i tralicci a terra, che predicava una convivenza formale, senza però parlarsi. Quella Bolzano contraddittoria, con mille difetti ma che è meglio di Trento. Questo sì. Lasciavo quella Bolzano meticcia, multiculturale, dove si votava lega per sentirsi più italiani per poi gustarsi una Sacher in piazza Walther von der Vogelweide. Quella Bolzano in cui non sapevo in che lingua dire “ciao”.

Le vie non erano semplici vie, erano delle straβe, con quella β elegante, che rendeva aristocratici anche gli angoli della sua periferia appena accennata. Quella città era così ma io non lo sapevo ancora. Lì non ero in Italia perché, come dicono molti, di solito biondi con gli occhi azzurri e col grembiule blu: “Sudtirol ist nicht Italien”. Una polemica infinita. “Non tutti i bastardi sono di Vienna” leggevo su un libro mezzo strappato. ma intanto i vecchi muoiono e la vita è comunque vita Il bellissimo, favoloso mondo di Bolzano inizia al Brennero e finisce a Salorno, ridente borgo dove non si ride e il sole non si vede nemmeno alle 14 del 15 agosto. Benvenuti nella PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO. Ci tengono particolarmente.

Ma a cercare bene, si trova un’altra Bolzano dal cuore medievale dove, tra un portico e l’altro, cantavano i Minnesanger, quella dall’essenza primitiva dove correvano i Krampus nelle notti d’inverno, quella di Dio…

Ma a cercare bene, si trova un’altra Bolzano dal cuore medievale dove, tra un portico e l’altro, cantavano i Minnesanger, quella dall’essenza primitiva dove correvano i Krampus nelle notti d’inverno, quella di Dio e soprattutto dei vescovi nobili ubriachi ancora oggi nelle osterie del ‘200. Quella Bolzano borghese, aristocratica, sicura di essere bella, quella pulita, da prima in classifica, con i turisti, con il mercatino. Quella Bolzano che d’inverno si accende, guadagna avida, si popola, accetta tutti, si vende, sulle piste da sci o in piazza. Puttana d’alta classe col suo sigaro in bocca e un lungo vestito nero notte.

Ma ne ha passate tante la mia Bolzano. Vista da sud, una Bolzano paradisiaca, che ha qualcosa da nascondere, da nord invece quella figlia bastarda, problematica, ribelle e confusa, quella che voleva “gli alimenti”, il doppio passaporto. Se ne sono andati i Thaler, gli Schmidt, gli Hofer e altri. Se ne andavano anche loro da quella Bolzano odiosa, guerrafondaia, vanitosa del duce, di piazza della Vittoria quella pura, italiana; era un atto legittimo, per gli standard del 1939… I portici squadrati, virili ma sterili e le piazze che cambiano.

Una Bolzano, o per meglio dire Bozen, terroristica, dove “Deutsch zu sprechen war verboten”, quella dalle viscere scavate per il vino e per imparare, quella delle “Katakombenschule”. Nascosti come marmotte fiere di essere marmotte e non aquile. Una signora in lutto, lontano dall’abete di piazza Walther, col volto estremista, nazionalsocialista, fascista. Perché Bozen non doveva più esistere. La nera Bolzano che ci raccontano nelle ore di tedesco “um nicht zu vergessen”, i capi delle SS passati sul velluto per le valli, il campo di via Resia di cui rimane solo un muro, ma anche degli antifascisti finiti a Dachau, a Bergen-Belsen, ad Auschwitz, quella che portava fiera i monumenti col fascio, la scure e il latino, come se lo capisse qualcuno. Crisi d’identità perenne.

Terra di confine infinito, gente che va, gente che viene qualcuno si perde ma non importa.

Terra di confine infinito, gente che va, gente che viene qualcuno si perde ma non importa. Nasce qualche guizzo di periferia, spunta in quartieri comunque sani. La gente si lamenta, è divertente. Oggi la città cambia, si popola, ed ecco arrivare nuovi volti, nuovi sguardi incattiviti di vecchi dalla memoria corta ma l’ignoranza non ferma la storia. I portoni dei palazzi sputano ad uno ad uno bambini nuovi che a quella Bolzano mancano. Troppo raffinata lei, fiera di star sola.

Al Palaresia c’era il Festival in Aprile, Marzo, Maggio il festival c’era sempre, chiassoso, eclettico, giovane. Dava a Bolzano un’aria di capitale, i suoi studenti che poi si perdevano altrove: Innsbruck, Muenchen, Wien, Berlin ma anche Verona, Padova, Milano, Bologna; avevano capito quanto fosse figo essere a metà, non essere forse nessuno.

Non cercate i bolzanini, a Bolzano nessuno rimane per sempre. Tutti vengono sostituiti e lei continua a vivere affezionata a tutti ma madre di nessuno.

Andate a Bolzano, ammiratela, godetevela e rendetevi conto non tanto della bellezza, quanto dell’unicità di quelle vie, quelle piazze, quelle valli; perché non troverete un’altra Bolzano. E io mi auguro che la bambina che Bolzano è non cresca mai, che rimanga “strana”, magari scomoda, che non perda mai la sua identità anche se magari una vera identità, lei, non ce l’ha. E ora ciao, auf wiedersehen, tschuss, non so più come diavolo dirtelo Bolzano. Non so più nemmeno come chiamarti.